La collinetta dell’Olympia di Parigi

Nico Morabito
3 min readJan 18, 2023

Domenica sera, uscendo dal Cinéma des Cinéastes, la mia amica F. mi ha detto: ah, e poi volevo dirti che ti abbiamo fatto un regalo di compleanno. Sono rimasto senza parole, cosa che non accade molto spesso, per vari motivi: uno perché il mio compleanno è il 30 luglio, due perché questa compagnia di giro parigina (in certe parti della Bassa Italia qualcuno la chiamerebbe comitiva, le estreme destre al governo “raduni pericolosi a fini di rave-party”) ha capito perfettamente perché l’anno scorso sono sparito dai radar per qualche mese, e i regali servono anche a questo, a non spiegare le cose (“show, don’t tell”) e tre perché il regalo era un biglietto per un concerto di uno dei miei gruppi preferiti francesi, i Feu! Chatterton (“Sorpresa!”) (Chatterton come il poeta Thomas Chatterton e Feu come Feu!, mi raccomando l’esclamativo).

E così ieri siamo andati all’Olympia, sala piena à craquer, mentre fuori c’erano zero gradi e dentro tanta voglia di stare assieme (o, come dirà poi durante il concerto il cantante Arthur, “de faire l’amour tous ensemble, maintenant!”). Dal 2015 andare ai concerti di massa a Parigi non è più la stessa cosa. C’è nell’aria qualcosa di diverso: per me si tratta di una sorta di consapevolezza aumentata che mi porta, ogni tanto e senza motivo apparente, a buttare uno sguardo verso le uscite di emergenza, mentre il corpo si prepara a un impatto che non arriverà e poi riprende a muoversi come prima, chiusa parentesi. Ma anche una gioia infantile, e il biennio pandemico c’entra eccome, per il fatto di esserci, qui, ora, e di fare quel che poco che ci rimane senza doverci sentire in colpa: cantare, ballare e ancora cantare, e ancora ballare. Duemila persone, una sola persona.

La fossa dell’Olympia è come le fosse di tante altre sale concerti, solo che a un certo punto, verso il fondo della sala, c’è una specie di collinetta da cui riesci a vedere molto bene il palco e i musicisti, pure quando il tipo alto due metri davanti a te decide di fare una boomer-diretta sui social (“Sai che ai concerti di Jack White ti fanno chiudere gli smartphone in una cassetta con lucchetto?” “Ah, tipo cintura di castità”). La cosa molto particolare di questa collinetta dell’Olympia è che il suo pavimento è gommoso, e appena inizi a saltare e ballare con i tuoi vicini, hai la sensazione di, ehm, volare: i tuoi piedi smettono di toccare il suolo il tempo che basta per crederci, e se chiudi gli occhi potresti anche essere su un motoscafo a tutta velocità, o anche solo su uno di quei tappeti elastici che piacciono tanti ai bimbi. Il tutto senza calarti niente: vive l’Olympia, vive la République.

Era il penultimo concerto di una lunghissima tournée, e, come tutti i penultimi concerti delle lunghissime tournée, tutto era oliato nei minimi dettagli: le chitarre, il rock, l’epico, l’electro, l’ottimo stage diving in cui nessuno è finito al traumatologico, le bacchette lanciate dal batterista, il momento in cui l’Olympia si è stretta in un solo abbraccio per la cover de L’affiche rouge di Léo Ferré su parole di Louis Aragon. Un buon indicatore della riuscita di un concerto è quello di andare subito a cercare dai bagarini se ci sono biglietti per la data del giorno dopo. L’altro buon indicatore è avere ancora voglia di stare in giro: e così, siccome ieri era il 30 luglio ed era il mio compleanno e faceva caldissimo, siamo andati in una brasserie a caso a scolarci una bella birra ghiacciata, una di quelle birre ghiacciate che assomiglia alla migliore decisione che tu abbia mai preso in vita tua.

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Nico Morabito

Parigi e Palermo. Autore e sceneggiatore. Le Favolose (Venezia 22), La dernière séance (Queer Lion, Venezia 21), Fuori Tutto (best doc italiano, Torino 19)