Ho passato più tempo con Diane Lockhart che con me stesso

Nico Morabito
3 min readNov 9, 2022

Il 10 novembre è una data importante. Smetterò di guardare le serie tv, per sempre. Andrà in onda infatti l’ultimo episodio in assoluto di The Good Fight e dell’universo immaginato e realizzato da Robert e Michelle King. I migliori autori, i migliori dialoghisti, i migliori costruttori di personaggi e di storie. Mentre gli altri e le altre guardavano indietro, avanti o lateralmente, i coniugi King erano gli unici a raccontare il presente, in diretta, intrecciando la “materia grezza della realtà con le tecniche della finzione”. Come ci riuscivano? Divertendosi, senza limiti, dunque divertendoci.

Per anni mi sono occupato di The Good Wife sul mio blog smontandone gli episodi in modo diverso da come facevo per Lost e per le altre serie mainstream. Lo facevo con l’ammirazione di chi si sta, e lo dico in modo sobrio, abbeverando alla fonte del sapere. Cercando di imparare i trucchi e i ferri di un mestiere che dava prova di talento in ogni episodio, scena, game, set, match. All’inizio mi stupivo di come i King venissero sistematicamente ignorati da chiunque, critica e pubblico. Come scrissi poi in un saggio pubblicato nella raccolta Come guardare la televisione (Minimum Fax, a cura di Luca Barra e Fabio Guarnaccia), probabilmente il loro lavoro soffriva della percezione distorta di un doppio stereotipo: il femminile (la parola wife del titolo) e il legal (“ancora una serie sugli avvocati?”). Oh, se solo avessero saputo.

Ho continuato poi in privato, per i fatti miei, con The Good Fight: pagine e pagine di appunti e citazioni, e centinaia di screenshot sparsi per il computer. E per anni, mentre voi eravate impegnati a farvi infinocchiare da quella cosa dei draghi o da altra robaccia, io martellavo sui King con chiunque mi chiedesse consigli. A un certo punto una persona mi scrisse “Quando leggo Nico Morabito io penso a Diane Lockhart, e viceversa”. Gli risposi “Ti capisco, capita anche a me”. Ancora oggi, qualcuno della mia cerchia, appena si nomina Tascioni, o Marissa, mi prende per un braccio e mi dice “Grazie, senza di te non avrei mai insistito” ma io nemmeno rispondo perché sono nel mio trip in cui cito a memoria pezzi di dialoghi e altre cose assurdamente belle. No, di più: geniali.

Quando finì The Good Wife scrissi che sarebbe stato bello avere uno spin-off “Marissa e Lucca per le strade di Chicago”. Non sapevo ancora di The Good Fight. Non avevo la sfera di cristallo, solo l’intuizione di chi conosceva le potenzialità di quei personaggi e dei King. Stavolta, malgrado le infinite possibilità (non sarebbe male vedere una serie da 30' con John Slattery che fa cose senza senso, o la signora Robinson continuare a vendicare gli oppressi) a quanto pare si chiude qua. Ho fatto i conti: The Good Wife sono 7 stagioni e 156 episodi, The Good Fight 6 stagioni e 60 episodi. Per entrambe ho fatto il rewatch. In pratica ho passato più tempo con Diane Lockhart che con me stesso.

Naturalmente i King continueranno a scrivere e produrre serie meravigliose, e ogni tanto capiterà di pescare una perla nel mare (o montagna?) di mediocrità che c’è in giro. Ma un universo del genere, 13 anni di invenzioni, intelligenza cristallina e wtf uno dietro l’altro, semplicemente non sarà ripetibile. E quando avrò visto l’ultima scena dell’ultimo episodio, con il picco di adrenalina ancora in corpo, urlerò di felicità: ehi folks, sì, è vero, we’re fucked, ma quanto ce la siamo goduta.

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Nico Morabito

Parigi e Palermo. Autore e sceneggiatore. Le Favolose (Venezia 22), La dernière séance (Queer Lion, Venezia 21), Fuori Tutto (best doc italiano, Torino 19)