Appunti su questa cosa dell’insegnare

Nico Morabito
3 min readFeb 15, 2023

Da cinque anni tengo un corso di scrittura audiovisiva all’università, qui in Francia. Molto bello. Cinque anni sono tanti. Nel corso del tempo sono cambiato io, nel capire più velocemente come adattarmi alla classe che ho di fronte, dosando teoria e pratica in funzione del livello complessivo, cambiando anche in corsa il programma, se necessario (“Chi sa chi è David Simon?” “…” “Ok, per la prossima volta mi guardate tutto The Corner, The Wire e Treme, voilà voilà”). E, ovviamente, sono cambiati loro, studenti e studentesse.

Il consumo
La prima cosa che chiedo quando entro in aula è: quali film e quali serie guardate? Dove le guardate? Perché le guardate? Ogni anno si formano tre categorie: chi cita solo le ultime cose uscite su Netflix (“Prof, perché scuote la testa?” “No, è solo uno SPASMO involontario, non fateci caso”). Chi cita un misto di tutto, da Hbo a Emily in Paris passando per Alice Diop. E chi, di solito solo uno o due, dice: “Io ho l’abbonamento a Mubi dal primo giorno e guardo solo cose in turco con sottotitoli in coreano” (“Prof, perché piange?” “No, niente, mi è appena entrato un Nuri Bilge Ceylan nell’occhio”).

Da un paio d’anni registro con stupore l’affermazione di una nuova vague: le serie-conforto da guardare all’infinito senza fermarsi mai (un po’ come facevamo noi con i telefilm di Italia Uno che andavano a rullo). Esempi? Friends, Desperate Housewives, Gilmore Girls (“Scusate ma queste sono le serie della mia generazione, che volete voi?” “Prof, per noi sono come delle madeleine, le guardavamo con le nostre NONNE”).

La sensibilità
A lezione cerco di creare uno spazio in cui tutti e tutte possano parlare di tutto, nel modo a loro più congeniale. Negli ultimi anni ho notato un’evoluzione nel rapportarsi al mondo disgraziatissimo che abbiamo intorno. C’è chi la esprime nella forma, per esempio con la scrittura inclusiva, o con il rifiuto netto di parole ambigue che fino a due o tre anni fa non creavano problemi; chi nei punti di vista, per esempio quello delle minoranze; chi invece nella creatività e negli elaborati: parole come serenità, gioia, fiducia, appagamento, calma sono sempre più frequenti. Un bene? Un male? Non lo so.

Ciò ha naturalmente conseguenze sul mio modo di insegnare: sono più attento a quello che dico, a come lo dico, al mio senso dell’umorismo, ai materiali che faccio vedere. Quest’anno, per la prima volta, mi sto interrogando a lungo sui filmati da mostrare. Non voglio cadere nella trappola dell’eccesso di protezione, ma nemmeno fare finta che questa evoluzione non sia in atto. La ricerca dell’equilibrio è difficile, ma anche stimolante.

L’attenzione
Come riuscire a tenere concentrati per quattro ore un gruppo di circa-ventenni senza perderli? Il mio metodo è: non stare un attimo fermo e camminare tra i banchi senza sosta, ascoltandoli e andandomi a prendere fisicamente le loro parole. Alla fine di ogni corso perdo due o tre kg di liquidi ma ne vale la pena. Non posso impedire loro di usare computer e smartphone, se qualcuno esagera non faccio come il mio maestro delle elementari che ci tirava le chiavi della macchina in testa ma come un mio prof del liceo che ci rimproverava con gli occhi (“Io vi sto dando la MIA VITA e questo è il ringrazio?”): funziona, garantito.

Prendono molti appunti, e questo è un ottimo segno, ma soprattutto capiscono quando devono prendere appunti e quando ascoltare e basta. La maggioranza usa il computer, qualcuno scrive a mano, e da quest’anno una novità: quando mostro le slide c’è chi alza lo smartphone e fa LE FOTO allo schermo. La prima volta sono rimasto, come dire, basito (“Ah così, proprio”), ma poi ho pensato che è esattamente quello che faccio io ogni giorno mille volte al giorno (“Salvare per dopo”) e che forse farei uguale se fossi al loro posto. Quindi ho sorriso e sono andato avanti: Bon, che stavo dicendo? Ah sì, Peggy Olson.

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Nico Morabito

Parigi e Palermo. Autore e sceneggiatore. Le Favolose (Venezia 22), La dernière séance (Queer Lion, Venezia 21), Fuori Tutto (best doc italiano, Torino 19)